Speculum veritatis

Gioco e poetica di una verità “copiata”

Giampaolo Trotta

Fabio Inverni potrebbe superficialmente sembrare quasi iperrealista ma tale […] La sua pittura, infatti, cancella il reale proprio mentre sembra portarlo al parossismo. Di solida preparazione tecnica, Inverni ha indubbiamente ereditato la maestria del dipingere dal padre Francesco. I suoi quadri sono tradizionali nel supporto (dipinti su tela) e nell’uso dei pigmenti (olio e pastelli a cera)[…] non ricorrendo alle sperimentazioni delle avanguardie del Novecento. […] i suoi dipinti non solo non sono mai né tradizionalisti né accademici, ma estremamente e suggestivamente moderni […] I temi delle sue opere non sono mai scontati (come ad esempio, paesaggi o figure), ma, in un minimalismo intimista assoluto[…] Non raffigura, Inverni, vedute panoramiche o interni spaziosi di dimore[…] persone o scene di vita, ma rimane, comunque, un pittore della figurazione[…] L’ambientazione scompare quasi del tutto e gli oggetti “ritratti” […] assurgono ad un significato, pur nella loro iperrealtà quasi fotografica, e ad una valenza simbolica […] psicologica di percorso nel proprio passato, per intuire ed intravedere il futuro. Pittura non en plein air, ma da studio; nature morte semplici ed austere, come fluttuanti nel vuoto di una parete scabra, dai colori spesso smorzati ed evanescenti, divengono intimisticamente quasi metafisiche, disvelano l’anima attraverso i ricordi, fotografie e fogli di vecchi quaderni sgualciti delle elementari emergono dal passato con ineffabile afflatto nostalgico […] contrastando la tela grezza dello sfondo (quasi simbolo della nuda, scientifica […] oggettiva realtà), sulla quale sono illusionisticamente affissi (appuntati come nella memoria) da frammenti di nastro adesivo, magistralmente dipinto en trompe-l’oeil nelle sue velature e nelle sue trasparenze. La tela grezza è la caratteristica di Inverni […] sulla quale il liscio sottofondo a stucco, dove poi dipinge i suoi vasi o i suoi fogli, diviene traslucido e quasi di marmo o d’alabastro quali un encaustro o un grassello da intonaco. E proprio i muri intonacati (come già in certe opere del padre), graffiti o semplicemente “graffiati” dal tempo e dagli uomini, dilavati e consunti nei pigmenti oramai diafani, come spettri o fantasmi del passato, divengono gli umili protagonisti delle sue scarne tele esistenziali, insieme alle carte disegnate, scritte, imbrattate o bianche (vuote) […]. Tutto parla e si riferisce all’uomo, anche se, si è gia detto, direttamente l’uomo non compare[…] Superfici dove sono virtualmente (cioè illusionisticamente) rappresentati dei foglietti appesi e strappati, superfici scarabocchiate come muri delle nostre città, frammenti di icone della modernità – quali la Coca cola, desunta dall’universo americano della Pop Art, ma divenuta simbolo emblematico della globalizzazione – che ci rimandano ad un mondo interiore, dove nel quotidiano dell’uomo qualunque si riverberano sprazzi della Grande Storia. Storia e storie di tutti i giorni emergono indirettamente, ma prepotentemente da quelle carte, antiche, muffite e ingiallite dal tempo, accartocciate e spiegazzate, ferite dalle dure esperienze della vita (sebbene l’artista sia ancora giovane), oppure bianchissime e moderne, come quelle forate lateralmente per la stampa a computer, talvolta contenenti il raffronto tra l’oggetto e la sua rappresentazione infantile[…] Alle volte sono carte vuote, immacolate, che attendono di essere scritte[…] altre volte ancora recano un turbinio quasi informale di macchie cromatiche, esplicazione irruente di sentimenti e di sensazioni tra i meandri freudiani della psiche. I tempi della memoria divengono, così, i tempi dell’anima, i racconti di Inverni si tramutano nel racconto della vita, sempre in bilico tra presente e passato […] per segnare le scelte future […] immersa nella disincantata contemporaneità, piena di incertezze, contraddizioni, ordinarie schizzofrenie. Una pittura realizzata con abilità d’altri tempi […] Tutto è relativo, suscettibile di significati diversi rispetto a quelli originari: una pipa dipinta, ci ricorderebbe Magritte, non è mai soltanto una pipa. Metafisica malinconica e dechirichiana, contaminata da istanze della tradizione romantica a sfondo onirico-visionario di Füssil, dal simbolismo romantico tedesco di Boecklin, dall’intimità realistica di Vermeer, dal surrealismo di Magritte, ma anche, talvolta, dal vigoroso dilagare cromatico proprio della Pop Art americana. Un’ arte, quella di Inverni, dove la pittura si fa racconto, che ancora non è giunta ad un suo traguardo finale, perchè conscia che nel costante incerto divenire stia l’unica certezza umana: non bugia o falsità […] ma della realtà immaginata “copiata” attraverso gli occhi dello spirito […] Il gioco virtuosistico nel rappresentare le increspature e le pieghe sulla carta, sotto l’effetto chiaroscurale di una luce fortemente radente che enfatizza le ombre e avvolge maternamente gli oggetti […] Inverni ci propone una reinterpretazione dell’atto pittorico originario, creatore, attraverso la semplice essenzialità degli scarabocchi infantili, ma con riferimenti anche ai monocromi e alle astrazione delle avanguardie novecentesche, all’istintiva concettualità della pittura degli outsiders e allo scritturismo metropolitano […] Ancora una volta la tecnica del trompe-l’oeil si modernizza in uno spaccato urbano che ci conduce nelle vie degradate delle nostre città e nel mondo dello sritturismo e del graffitismo […] su muri, bandoni e arredi urbani […] Inverni, però, ci restituisce tutto questo non con lo strappo neodadaista di manifesti, non con il mezzo moderno di una macchina fotografica digitale, ma con la tecnica antica dell’olio su tela, ponendo così un ponte virtuale […] fra passato e presente, proiettato, come si è detto, verso le ricerche e le sperimentazioni del domani […] dove la concettualità potrà divenire, senza scontati rimorsi alla moda, dinuovo anche “bella”.